Devo confessarvi che mi sono sbalordito quando ho scoperto questa intervista: Ignorer Facebook est une erreur professionnelle (trad: Ignorare Facebook é un errore professionale). Un ulteriore esempio di una visione « media » dei social network, forse strumentalizzata.Non ho mai lavorato in DDB Paris né tantomeno conosco qualcuno dell’agenzia, per cui mi limito a riassumervi il loro punto di vista esposto nel sopra-citato articolo: Facebook é solo un agglomerato di interessi opportunistici.

Se questo social media permette molte libertà per comunicare (Facebook : le couteau-suisse de la présence des marques sur les médias sociaux ?), possiamo stimare allo stesso tempo che effettivamente FB sia diventato lo strumento prediletto percepito come « polivalente » attraverso il quale ogni azienda, « esprime » il suo posizionamento (relazione clienti, e-reputation, comunicazione, ufficio stampa, media…). Il difficile non é tanto scegliere e mantenere un posizionamento, ma verosimilmente, per un brand acquisisce sempre più importanza la sua capacità di mettere in avanti la capacità di capire e gestire IL suo Facebook.

D’altro canto, in casi sempre più frequenti, ci troviamo di fronte ad una marca e 15 pagine Fb differenti che non creano assolutamente del valore aggiunto e che sono animate soltanto per qualche settimana…Ciô nonostante, dall’altro lato, abbiamo un bel discorso di colpevolizzazione e di ansia attorno al mondo dei social media (« Fate attenzione alla votra e-reputation! », « Non buttarsi su fb é un grave errore strategico »…).Ho come l’impressione che vi sia una sorta di malcontento generale da parte delle aziende in riguardo al « comunicare » sulle piattaforme digitali, ma che, allo stesso tempo, non « esserci » sia ancora più deleterio. Questo perché si dà voce ai commenti dei potenziali clienti e non si ha il controllo immediato al 100% di questi canali di democraticità. In più, il malcontento puô arrivare direttamente dagli internauti…é chiaro che gli strumenti di gestione di « e-communication crisis » non sono ancora ottimizzati e la gestione diventa davvero complicata. A questo proposito, non posso non citarvi l’esempio di British Telecom, baluardo della non-presenza su Facebook (in un’epoca in cui anche Buckingham Palace detiene la propria pagina) che proprio su questa scelta ha creato il punto di partenza della sua nuova strategia globale. Durante un’intervista al responsabile marketing, l’azienda inglese ha fatto chiaramente capire che attraverso gli altri canali che il web offre (come il loro conto Twitter @BTcare e forum BT Community) il colosso della telefonia riesce a coprire i diversi bisogni dei clienti e rispondere agli obiettivi dell’azienda e dei clienti stessi…in una maniera decisamente qualitativa e quasi immediata.
Per tornare all’articolo con cui ho aperto il post, ecco a voi la mia categorizzazione della visione delle aziende che comuniano scopro sui social network:

  • Una visione « media oriented » Investire su Facebook é visto come un investimento media e un trasferimento di budget web dai banner (display) verso questo supporto: n questo caso, occorre cercare la complementarietà dei due strumenti, ma i social network non interferiscono le azioni classiche di webmarketing. Il multicanale distributivo non ha lo scopo rimpiazzare l’antivigente, ma quello di offrire delle possibilità differenti personalizzate per i clienti che vogliono entrare in contatto con la marca:
  • Una visione « Influenza » vs. « Affluenza »Se analizziamo le cifre in media degli amici e del numero dei membri nel mondo, é ovvio che i risultati rinforzano il discorso « udience » e non il discorso « influenza/relazione ». Ora si parla tranquillamente di relazione con le comunità. Non serve toccare tutta la popolazione attraverso uno strumento o aggregare il numero maggiore di fan…per ora c’é ancora la tv per la « potenza » mediatica…ma in un’ottica di branding ciô non ha alcun senso.

Pertanto, al giorno d’oggi, esigere dalle agenzie degli obitiettivi in termini di fan o di post apprezzati…non é più fantascienza. La dimostrazione che rinforza la mia tesi della visione « affluenza » sta nella recentissima operazione Skoda Et si c’était le client qui choisissait le prix ? (trad: E se fossero i clienti a scegliere il prezzo?).

Sia chiaro…sancire la visione giusta…é impossibile: si si tratta sempre di avere le migliori idee.

Adidas Originals é la linea di prodotti « Urban Sportswear e Lifestyle » della marca dalle tre strisce. Ma soprattutto, rappresenta per tutti i produttori d’abbigliamento sportivo, un accattivante esempio di riuscita all’interno del difficile mercato lucrativo dello sportwear. C’é chi parla di sportwear,come parte della cultura urbana, valorizzazione dell’individuo e celebrazione dell’originalità. E guarda caso, sono le principali tematiche delle ultime campagne partecipative di Adidas: « Tofomatic » in France e « Calle Adidas » in Spagna.

Lo sportswear… più di un prodotto, una cultura.

Possiamo ritrovare in queste due campagne partecipative gli elementi di una comunicazione 2.0 ben riuscita :

  • Lo story telling: non vendere un prodotto ma una storia di marca
  • Utilizzare i nuovi mezzi di inrerazione con il cliente
  • Creare un link con il consumatore mettendolo al centro della comunicazione

Dalla teoria alla pratica.

In agosto 2010, Adidas ha riunito a Parigi alcune delle sue star dello « sportswear » (da sottolineare la presenza di Gignac, il solo sportivo del gruppo) per metterli alla volta di ragazzi sconosciuti « scovati » nella capitale all’occasione di un casting selvaggio. Lo scopo, realizzare un video in visto e rivisto stop motion con una produzione del gruppo Beat Assaillant (sponsorizzato Adidas) come sottofondo musicale. Risultato malgrado l’usura del concetto: un bel buzz per la promo delle scarpe Adidas Originals.

Tofomatic é il séguito naturale di questa campagna partecipativa. Alcuni giorni dopo la rivelazione di questa anteprima video, il Tofomatic é stato inauguarato con grande stile all’Adidas Store degli Champs Elysées. In realtà, si tratta di una photomatic (macchina automatica per fototessere) un pô particolare. Lo scopo é di farsi fotografare, scarpe Adidas ai piedi, per partecipare al prossimo video virale in stop motion della marca.

Adidas Originals organizza una serata di incontri di calcio tra Gourcuff e altre star del calcio contro dei ragazzi più street e underground come il grande rapper Youssoupha (l’equivalente francese dell’icona Adidas americana, Missy Elliot).

Dopo il lancio dell’operazione il 19 ottobre a Parigi, il Tofomatic é attualmente a Lilla, alla volta di un vero e proprio « tour de France » degli Adidas Store a fine d’incontrare tutti i fan della marca. La compilation delle foto scattate in occasione delle diverse tappe é già online sul sito ufficiale decicato interamente all’operazione. Quest’ultimo darà vita alla realizzazione di un video che dovrà avere, come obiettivo finale, un risultato di questo genere:

Questa campagna partecipativa corrisponde perfettamente al dna di Adidas Originals. Celebrare l’originalità e valorizzare la multiplicità. Il solo denominatore comune: Adidas Originals.

L’utilizzazione della comunicazione 2.0 in questo contesto appare come un valore aggiunto, e la marca puô contare sui suoi Aficionados per rispondere agli obiettivi della campagna (Più di 5 Milioni di fan sulla pagina Facebook Adidas Originals).

Forse l’utilizzazione della stop motion non é una grande novità, in quanto apparentemente oggi mostra dei des segnali di retrogradicità, come i Lip Dub a suo tempo. Ma dal momento in cui il web evolve costantemente, perché non utilizzare uno strumento non troppo « in »? I « video di cui voi stessi siete gli eroi » per esempio…

…Tutto ciô per introdurre l’operazione dei colleghi spagnolI DIAdidas Originals!

A mio avviso, essi sono andati oltre, abbordando in un modo veramente originale la comunicazione 2.0: Calle Adidas

Il concetto dei « video di cui VOI siete gli eroi » riprende quello celebre dei libri con il proprio nome. Alla fine di ogni azione, appartiene agli utenti la libertà di decidere cosa fare e dove andare. Le prime perle ad apparire su Youtube come « The Time Machine » hanno rapidamente creato del marketing buzz. Le possibilità d’interazione e il forte potenziale virale di un tale concetto, rappresentano una miniera d’oro per chi sa come tradurle in profitto.

Risultato, le altre marche hanno iniziato, con più o meno successo, a « seguire l’onda ». L’ultimo esempio per esempio ha beneficiato di un formidable eco . Si tratta del brand Tipp-Ex che ha saputo utilizzare intelligentemente il concetto facendo interagire l’internauta direttamente sulla schermata di YouTube. Da vedere assolutamente qui se non l’avete già fatto!

Se la campagna « Calle Adidas » é una versione meno estrema, in essa possiamo trovare comunque tutte le nuove tecniche della comunicazione 2.0. Adidas Originals invita l’internauta a tuffarsi nel mondo urbano dove le decisioni sono da prendersi ad ogni angolo della strada.

Calle Adidas é soprattutto un perfetto esempio di story telling. Nessun prodotto da vendere in questo video ma piuttosto un’immersione completa nell’universo Originals della marca a tre strisce. Tra Graffiti, Hip Hop e battaglie di danza, la cultura della strada é onnipresente e finisce per amalgamarsi ineluttabilemente alla storia della marca Adidas.

E’ dunque il luogo ideale per rafforzare le associazioni tra questi due universi. Il video di cui voi stessi siete gli eroi permette di passare più tempo in presenza del brand e soprattutto…un tempo di qualità, poiché l’internauta da spettatore diventa il vero attore della « storia ». Tra l’altro un sacco di studi sull’advergaming [pubblicità sui video giochi (sulla quale ho scritto la mia tesi)] dimostrano un impatto molto più importante quando vi é l’internazione.

Siete avvisati…

 —  Publié: 24 novembre 2010 dans comunicazione, Cross-media, facebook, IMC, Matt Stays, media, social network, twitter, viral, youtube
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Per quelli che mi conoscono da molto tempo, sapete bene che raramente faccio delle critiche spietate ad operazioni speciali: non lo trovo costruttivo e, in genere, le mie parole diventano pubblicità per l’azienda stessa.

Ma quando subisco quello che qualificherei come un’agressione mattutina da un brand come Nescafé Nes, i nervi possono saltare molto più facilmente.

Entriamo nella situazione:

– State dormendo tranquillamente, con la consapevolezza di dovervi preparare per un lunga giornata lavorativa: é lunedî.
– Quando improvvisamente, alle 6 spaccate, il vostro telefono suona. « AHHHHHHHHHHHHHHHHH, Cos’é sto delirio?? ». All’inizio pensate che si tratti di un errore. Ma il tutto ricomincia.
– In uno stato semi comatoso, sentite una voce di un tizio che si spaccia per un poliziotto che sta arrivando sotto casa tua (con tanto di sirena in sottofondo). Motivazione ? Download illegale di musica da internet. Per rimanere in tema di francesismi… ti caghi veramente addosso. 2 minuti dopo (dopo aver gia acceso il mac e aver cominciato a infilare nel cestino le veritabilissime « prove del reato »   …un sms ti avvisa dicendoti « Nescafé ti ha augurato un buon risveglio, scopri chi dei tuoi amici ti ha teso questa trappola! Visita e apprezza la pagina Wake Up service NES! »

In quegli istanti fai due rapidi calcoli mentali:  ho fatto un errore nella selezione dei miei amici e uno di loro è abbastanza stupido per avermi fatto questo discutibile scherzo o sono io troppo suscettibile per non accettarlo? In un secondo momento pensi anche al fatto di riuscire o meno a riaddormentarti, vista la quantità di adrenalina sprigionata in quei 4 fatidici minuti.

A questi punti:

  • Potrei trovare il colpevole, malgrado sia proprio la logica di questo « servizio » che lo impone…ma non é molto semplice: l’applicazione propone 6 amici potenziali che avrebbero potuto farti lo « scherzo » e ti dà la possibilità di punirne uno di essi sotto un « criterio di presunzione di colpevolezza casuale » (cf traduzione letterale)
  • Oppure riversare tutta la mia rabbia nei confronti di qualche altro malcapitato del quale detengo in possesso il nr di cellulare.

Non demordo…scorro i 6 nomi dei presunti responsabili e casualmente 2 di essi lavorano in Ogilvy PR. Controllo rapidamente in rete e la mia tesi viene confermata: é una loro operazione.

Adesso, quante operazioni di questo tipo sono state già orgzanizzate in precedenza? Troppe, e nessuna ha mai raggiunto questo livello di aggressività: che si accetti on no questo « scherzo » ... l’operazione soffre di una palese mancanza di originalità.

Infine, fino a quel momento non mi ero mai posto un problema nei confronti di NES, mi era semplicemente una marca indifferente. Ora so che il caffé (o meglio, polvere con derivati di caffé) che non berrô mai per principio porta un nome: NES di NESCAFE.

Non tutti la pensano come me (per fortuna), come dimostrano alcuni tweets che elogiano questa operazione parlando di « eccellenti novità e nuovi confini raggiunti » (?).

Al lato opposto…la creazione di una contro-pagina Facebook inneggiante alla soppressione della pagina NES (interessante a questo riguardo il post di Cyrille Chaudoit).

Dopo la mia liberazione personale…proviamo ad analizzare OGGETTIVAMENTE l’operazione…

Lo scopo ?
Alla base, un concorso inter-scolastico (business school private targetizzate al massimo). Gli studenti sono « chiamati al risveglio » del numero più elevato possibile di compagni per vincere degustazioni, viaggi ecc…

Nei blog, la catastrofe de bad buzz:

– « Perché vogliono sempre di più roba trash? E ‘così stupido e fastidioso!  E’ solo spam » Gaduman racconta indignata sul suo raccontando nel dettaglio il suo risveglio. Tanti, tanti altri messaggi del genere (ho scelto il meno emotivamente impattante)
In fin dei conti, si doveva fare parlare di Nes, no ?!

Incazzatura personale a parte, se ogni blogger chiamato in causa ha scritto, negativamente o meno, dell’operazione marketing di Nes, da un punto di vista di viralità…non posso negare che si sia trattata di un buon colpo…

Nescafé ha conosciuto una crisi dovuta ai prodotti difettosi poco tempo fa in Francia. « Il principio é semplice: ricorprire i contenuti ancora disponibili « qua e la » nel web, compresi i social network, .

Un fiasco?

Per poter stimare un bilancio dell’operazione che si é appena conclusa, occorre misurare accuratamente i dati a disposizione 2217 fan su Facebook, 99 persone iscritte alla fan page con lo scopo di far chiudere il sito (neanche un ventesimo dei supporters) e 16 bloggers « incazzati neri ». Inoltre, sembra proprio che le scuole si stiano davvero dando da fare e si sia davvero innescato un buzz all’interno di esse per vincere la competizione.

Morale:

L’ambiente della comunicazione parigino (E NON SOLO), nel bene come nel male, da 15 giorni non fa altro che parlare di Nes.

D’altronde…non era forse questo lo scopo ?

L’86% degli utilizzatori dei social network ha già interagito con una marca su internet, divenendo fan di una pagina Facebook o per esempio seguendo il loro Twitter account, secondo uno studio americano effettuato su 10050 persone (2010, Cone).

Nel 2008 erano soltanto il 58%, e ciô prova la progressione di questo canale di informazione: troppo facile dire che i brand possono e devono approfittare di questa comunicazione « diretta » con il consumatore…cerchiamo di decorticare i dati e, cosa più importante: dare senso alle cifre!

Il 62% degli utilizzatori dei social networks dichiara, in effetti, che non é più suscettibile di fare circolare un messaggio della marca in questione se non interagisce con essa. D’altro canto, il 61% dei fan percepisce un collegamento più forte con un brand dopo un’interazione su un social media.

I 59% dei fans dichiara inoltre di essere più stimolato a comprare o consumare i prodotti e servizi di una marca se vi é la possibilità di scambiare idee con quest’ultima su un sito comunitario: Se il 77% des fan cerca di rendersi partecipe dei progetti di un brand per beneficiare di elementi gratuiti, sconti e quant’altro, il 46% si attende inoltre che il brand della situazione implementi un servizio clienti sui social media per risolvere i loro problemi (cf problemi: parola che gli account non devono MAI utilizzare) e che risponda alle loro questioni.

Se la relazione puô, quindi, essere redditizia per la marca in un’ottica di branding (e di ritorno sugli investimenti) gli utilizzatori delle social communities non esitano ad abbandonare le famose « fan pages » se la loro esperienza non risulti sufficientemente appagante.

Le due principali ragioni della sospensione dei servizi forniti dalla marca sono dovute ad azioni mosse nei confronti dei consumatori (58%) e a causa del volume troppo frequente di comunicazioni.

Se un imponente numero di fan si allontana dai brand che comunicano troppo, il 36% termina il rapporto online delle marche che non comunicano abbastanza… ma, allo stesso tempo, il 28% dei fan cessa di seguire le aziende che censurano il contenuto postato dai consumatori.

Si tratta dinque di trovare un equilibrio di comunicazione e, a mio avviso, lasciando al fan (che diviene un vero e proprio ambasciatore della marca) l’opportunità di esprimere liberamente il proprio pensiero.

Lo scopo di questo post (troppo, troppo noioso…lo ammetto) é quello di introdurre una serie di TOP e FLOP CASES che sono stati o verranno implementati sul web e che, giorno per giorno, mi danno la possibilità di capire cosa NON si deve assolutamente fare in rete…e magari cercare insieme a voi, dei possibili miglioramenti che avrebbero potuto o potrebbero trasformare una discreta operazione…in una che spacca di brutto.

In fin dei conti…sono i dettagli che fanno la differenza!

Il 19 marzo 2010, giorno dell’uscita dell’ultimo album degli Scorpions, la band annuncia implicitamente che siamo agli sgoccioli. Dopo alcune empasse e lavori né esemplari, né tanto meno innovativi, Quello iniziato lo scorso 19 marzo, in concomitanza con l’uscita dell’ultimo album dal titolo Sting in the tail, è l’ultimo giro del mondo per gli Scorpions.  Non voglio dilungarmi nelle inutili citazioni e pregi del gruppo, la storia, le mie canzoni preferite ecc… Vi lascio soltanto il comunicato stampa. Impattante e allo stesso tempo multi-sensoriale. Non si tratta dei semplici artefatti di categoria, sono parole forti e e sincere. Provate soltanto a pensare cosa possa significare fare parte di una band dal1965 al 2010…e ditemi quanto tempo impieghereste a trovare le parole giuste da dire ai vari interlocutori. Alcuni imitano politici dettando le regole economiche del mercato, altri pensano già all’uscita del futuro disco di inediti ed altri ancora diventano chiromanti che ti raccontano la rava e la fava del futuro musicale. Loro hanno scelto la semplicità.

Ladies and Gentlemen…the Scorpions:

It was always our pleasure, our purpose in life, our passion and we were fortunate enough to make music for you – whether it was live on stage or in the studio, creating new songs.

While we were working on our album these past few months, we could literally feel how powerful and creative our work was – and how much fun we were still having, in the process. But there was also something else: We want to end the Scorpion’s extraordinary career on a high note. We are extremely grateful for the fact that we still have the same passion for music we’ve always had since the beginning. This is why, especially now, we agree we have reached the end of the road. We finish our career with an album we consider to be one of the best we have ever recorded and with a tour that will start in our home country Germany and take us to five different continents over the next few years.

We want you, our fans, to be the first to know about this. Thank you for your never-ending support throughout the years!

We uploaded the very first snippets from our new album for you.

And now… let’s get the party started and get ready for a “Sting in the Tail”!

See you on the world tour,

Yours Scorpions

Colpire l’attenzione.

Publié: 27 mars 2010 dans Non classé
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Il mondo, i media e le persone. Troppi messaggi, troppe informazioni, troppo poco tempo per essere interessati veramente a qualcosa. Raramente avviene qualcosa di inaspettato e, chissà perché, è proprio in quei momenti che qualcosa si muove dentro di noi. Qualcosa di inqualificabile, di irrazionale, ma allo stesso tempo impattante. Non tutti reagiamo allo stesso modo, per fortuna, ma ci sono dei momenti in cui nel bene come nel male, ci sentiamo coinvolti. Non parlo di fame del mondo nei reportage in tv o di stragi strazianti. Ci turbano per 2 minuti, giusto il tempo di mezza sigaretta, ma rimangono pur sempre immagini che vanno a finire dritte nella spazzatura del nostro cervello. Rimpiazzate immediatamente dalle faccende « urgenti » da sbrigare come lavare i piatti, preparare le lezioni o non far tardi all’appuntamento con l’amica.
Fermarsi a pensare costa molto, costa la cosa più preziosa che esista: costa tempo.
Spero che questi 5 minuti persi, vi facciano riflettere. Quello che vi propongo non è semplicemente un video. E’ uno strumento che può essere buttato nella solita spazzatura del cervello ma che, per contro, può farvi riflettere. Non dà la risposta, è un veicolo per mettersi nelle condizioni di trovarla.

http://www.youtube.com/watch?v=9lp0IWv8QZY

I Dreamed a Dream, Lyrics from « Les Miserables »

There was a time when men were kind
Their voices soft, their words inviting
There was a time when love was blind
And the world was a song, And the song was exciting
There was a time, Then it all went wrong

I dreamed a dream in time gone by
When hope was high And life worth living
I dreamed that love would never die
I dreamed that God would be forgiving

Then I was young and unafraid
And dreams were made and used and wasted
There was no ransom to be paid
No song unsung, no wine untasted

But the tigers come at night
With their voices soft as thunder
As they tear your hope apart
And they turn your dream to shame

He slept a summer by my side
He filled my days with endless wonder
He took my childhood in his stride
But he was gone when autumn came

And still I dream he’ll come to me
That we will live the years together
But there are dreams that cannot be
And there are storms we cannot weather

I had a dream my life would be
So different from this hell I’m living
So different now from what it seemed
Now life has killed the dream I dreamed.

Cominciare un blog, per la prima volta nella vita, a quasi 25 anni è suscettibile di domande…Ebbene sì, me la gioco nonostante tutto. Come slogan non a caso ho scelto una frase di Abraham Lincoln: lui si faceva più paranoie di me e come avrete capito io non me ne faccio poche. E’ l’ora delle presentazioni, anche se è una delle cose che odio di più. Qualcuno, chi mi conosce appena, potrebbe pensare che sarei iprocrita…In effetti, quante volte, soprattutto per elemosinare un lavoro, fare bella impressione o per qualche altro motivo anche a me sconosciuto, mi sono ritrovato a non essere me stesso. Questi miei interrogativi saranno alla base dei miei discorsi complicati, contorti e senza uscita che vi proporrò su questo spazio web.  Ho voglia di prendere un pò d’aria fresca, uscendo dall’ambiente viziato delle  feto taggate dei social network e compagni. Con questo non nego di avere il mio Twitter, Facebook, Flickr, My Space. Credo che certe emozioni, pensieri o semplicemente canzoni, debbano essere condivise soltanto con chi ha veramente lo spirito di osservare e approfondire un pò le banalità. Una delle mie frasi preferite, non chiedetemi l’autore please (forse sono proprio io ma non ne sono sicuro) è: Nel banale risiede il meno noto. Diamo troppe persone e cose per scontate…ma è proprio quando ne si ha bisogno ci si rende conto di quanto esse contano per noi. Ho già cambiato idea, salto a manetta la presentazione: penso che mi possiate aver già inquadrato.  Un avvertimento…cercherò di rendere le mie esperienze il più condivisibili possibile, per darvi la possibilità di rendervi partecipi al massimo.

So che un blog dovrebbe partire col botto, con una mission, una vision, un messaggio chiave, delle parole ricorrenti, una tematica predominante, un obiettivo, un cosiddetto « dress-code » come direbbe il sottoscritto ai tempi d’oro…ma forse è proprio sul cammino di questo blog, o se preferite sotto-blog, che vorrei trovare le risposte. L’essere esplicito non è una mia qualità. Ma è proprio nelle mie complicazioni che hanno dimora i miei segreti, pregi e difetti.

Hello world!

Publié: 20 mars 2010 dans Matt Stays
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